martedì 15 novembre 2022

ATTILIO FRESCURA - L'INDUSTRIA CADORINA DI OCCHIALERIA FRATELLI LOZZA

 L'INDUSTRIA CADORINA DI OCCHIALERIA FRATELLI LOZZA

 

    

Alla Biblioteca Storica Cadorina di Vigo si trova un libriccino (25 pagine) di Attilio Frescura (1881-1943) dal titolo: L'INDUSTRIA CADORINA DI OCCHIALERIA FRATELLI LOZZA. Costui era il figlio di Angelo Frescura (1841-1886), noto per aver aperto nel 1878 la prima fabbrica di occhiali in Italia a Rizzios di Calalzo di Cadore.

     Il libro fu stampato nel 1939 a Milano in occasione dello scoprimento del busto marmoreo in ricordo di Giovanni Lozza (1840-1915), socio d'opera del suddetto Angelo e capostipite della dinastia industriale cadorina dei Lozza. Tra gli industriali Lozza ricordo i figli di Giovanni, Giuseppe Lozza (1870-1954) e Lucio Lozza (1877-1954). Poi Agostino Lozza (1900-1974) e Mario Lozza (1933-2003). Nel 1983 la Lozza venne rilevata dal Gruppo De Rigo di Longarone.

     La ditta di Angelo Frescura dopo la sua prematura morte fu ceduta al gruppo milanese Colson, Bonomi e Ferrari (poi diventata C. E. Ferrari & C. > Cattaneo, Cargnel &  C. > Ulisse Cargnel & C. > SAFILO di Guglielmo Tabacchi e soci). Suo figlio Attilio, che aveva cinque anni alla morte del padre, fu ufficiale dell'esercito nella 1^ G.M., pluridecorato, e poi scrittore di successo.

     Ritengo il libro interessante perché scritto direttamente da un membro delle famiglie dei pionieri dell'occhialeria cadorina.

     Da questo libro di Attilio Frescura traspare una certa tristezza per le sorti della sua famiglia, ma compensata dalla certezza che l'occhialeria in Cadore sarebbe durata per sempre. Cosa che purtroppo non si è avverata. Si esaltano anche le virtù di amicizia tra soci, tra figli di soci e tra cadorini.

     Ho digitalizzato l'intero libro con le sue illustrazioni e qui lo presento.
     (Chi volesse stampare il libro, può trovare a questo link il formato PDF:)
https://drive.google.com/file/d/1bkJiCg--04aOkoAlRzgTiynHReQ4K2Kt/view?usp=sharing

Desidero ringraziare la responsabile della Biblioteca Storica Cadorina Sig.ra Noemi Nicolai per la preziosa assistenza.

Alla fine del Post ho aggiunto tre capitoli del libro di Enrico De Lotto "Dallo smeraldo di Nerone agli occhiali del Cadore", capitoli che parlano della nascita e dei primi sviluppi in Cadore della moderna industria italiana degli occhiali.

ILLUSTRAZIONI DEL LIBRO CON LE DIDASCALIE ORIGINALI


Giovanni Lozza


La fabbrica Frescura Angelo, Leone, e Giovanni Lozza nel 1882, sul torrente Molinà



Gli operai della fabbrica: 1882. Giovanni Lozza, seduto, guarda attraverso il canocchiale



Calalzo di Cadore: La fabbrica della Industria di Occhialeria Fratelli Lozza nel 1939-XVII

 
Gli operai della Industria di Occhialeria Fratelli Lozza nel 1936-XIV






T E S T O 


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A T T I L I O   F R E S C U R A

AI FRATELLI

GIUSEPPE E LUCIO LOZZA


Cari Amici, un lutto mi impedisce di assistere allo scoprimento del busto del Padre vostro, che la pietà filiale vi ha suggerito di porre là ove sorgeva la piccola officina oggi saldata nelle mura della grande fabbrica che la vostra intelligente tenacia ha eretto, e che onora voi, i nostri Padri e il nostro Cadore.

Con quel ricordo marmoreo voi avete voluto ricordare che il Padre vostro - Giovanni Lozza - fu col mio, Angelo Frescura, e il suo fratello Leone, pioniere dell'industria cadorina, anzi, italiana, della occhialeria. Questo è vero. Tu. Lucio Lozza, Podestà di Calalzo, hai decretato di intitolare ad Angelo Frescura la strada che dall'estremo di Calalzo mena a Rizzios, verso la vallata ove sorse la prima umile nostra fabbrica d'occhiali; ed hai acconsentito che io donassi al Comune il ritratto del Padre mio, la cui dedica ricorda anche il Padre tuo. Ora io vorrei che altrettanto onore fosse reso, per giustizia, al Padre tuo; e che voi donaste, al Comune, il ritratto di Giovanni Lozza, da porre accanto a quello di Angelo Frescura. Entrambi hanno, nello stesso modo, nella stessa misura, ben meritato. Non è sembrata superbia la mia; non sarà superbia la vostra. È stato, forse, anche un dovere, come Cadorino. Tale sarà il vostro.

Tutto questo mi dice, carissimi Amici, che noi siamo amici come lo furono i Padri nostri, anche se noi non siamo legati che dal comune ricordo, dall'orgoglio comune. Tutto questo vuol dire che noi sentiamo come quei nomi non possano andare divisi; né diversamente diviso o commisurato il merito loro. Tutto questo vuol dire che anzi voi avete continuato quell' opera, ingigantendola. E che oggi voi, assai più fortunati di me, potete aggiungere all'orgoglio del nome paterno, quello che vi deriva da un'opera cospicua, innalzata con il vostro ingegno e con la vostra tenacia.

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Il vostro

ATTILIO FRESCURA


Milano, 20 Dicembre 1938-XVII.




Il padre di Giovanni Lozza era fabbro; ma le condizioni di ambiente non consentivano che una vita stentatissima: povera è la montagna !

Giovanni, dunque (era nato il 15 Maggio del 1840) ancor giovanissimo lasciò il paese natìo e girò per il Veneto come arrotino ambulante. Finì per stabilirsi a Cavarzere, e all'autunno tornava a casa rifacendo - vita di grandi stenti - la lunga strada a piedi, spingendo innanzi la mola. Poi, ad ogni primavera, riscendeva a valle.

Il giovane aveva grande passione per la meccanica, e le ore di ozio di Cavarzere, le passava nell'officina di un fabbro, ingegnandosi a costruire lavori di rara abilità, specializzandosi nella fabbricazione di armi e nel ferro battuto. Il figlio Lucio, in un viaggio che molto più tardi compì a Cavarzere, ebbe modo di vedere una magnifica balaustra in ferro battuto forgiata dal padre suo, che gli mostrò un vecchio del luogo, il quale ricordava con grande elogio il giovane arrotino.

Vita grama, per altro, anche a Cavarzere; sicchè un giorno Giovanni Lozza si spinse sino a Genova, dove si acconciò come minatore nella costruenda ferrovia. Molto più tardi il Lozza raccontava con amarezza che, allorquando mostrava qualche arma da lui preziosamente lavorata, si sentiva dire dagli increduli:

- Eh... se foste capace di tanto, non fareste l'arrotino!

Ma venne il giorno in cui si incontrò con l'uomo che doveva capirlo. Doveva, naturalmente, essere un uomo dello stesso ingegno, che avesse conosciuto gli stessi stenti, che sapesse giudicare. Uno della montagna; della sua montagna, insomma.

Giovanni Lozza aveva ormai 38 anni. Il tirocinio era stato lungo ed aspro. Due uomini della stessa tempra avevano stretto un patto che soltanto la morte doveva sciogliere. Ma l'opera eretta, nemmeno la morte cancellava mai più.

Anche Angelo Frescura era partito dalla natia Rizzios (Rezzuós, pronunciano ancora i vecchi del luogo, che danno sulla voce a chi tenta di ingentilire la pronunzia) ad appena quindici anni, chè allora - come abbiamo detto - i tempi erano magri, specie per la terra di montagna. Dopo avere, a sua volta, girato il mondo, accumulato a stento qualche soldo, si era fermato da prima a Modena e poi a Padova, dove aveva stabilito di riposare un poco della vita di girovago, e mettere su bottega di occhiali e chincaglie. Bottega e casa. E furono prospere entrambe.

Fu al momento di tornare in Cadore per un po' di vacanza, che Angelo Frescura pensò di far qualcosa per il suo paese; cioè per Rizziós, per Calalzo, per il Cadore.

E avendo incontrato il Lozza, che egli molto stimava per galantuomo e che aveva fama di lavoratore d'ingegno, venne seco lui a discorrere della possibilità di impiantare una fabbrichetta di occhiali, che s'importavano allora specialmente dalla Francia. Confidò in quella occasione al Lozza che, dopo aver aperto bottega a Treviso per la sorella Veronica, aveva intenzione di aprirne una anche a Vicenza per il fratello Leone; e similmente avrebbe poi voluto fare a Verona, a Venezia e via dicendo, a premio dei parenti e dei collaboratori più fedeli. S'intesero in breve: gente di poche parole, abituata ai contratti con una stretta di mano, anzi sulla parola.

Cercarono il luogo, e mossero naturalmente per la strada di Caravaggio (quella che, attraverso la Molinà, mena a Rizziós; e proseguendo diretta porta in Taunia, ai piedi dell'Antelao) chè allora non v'era forza elettrica, e l'energia la si traeva dal corso delle acque. Il luogo era particolarmente caro al Frescura, perchè di laggiù, a fondo valle, nello scroscio della Molinà, si scorgevano e Calalzo capoluogo e la natia Rizziós, quella che appare tutta a case nere nere per il fumo dei focolari; sì che più tardi, al pittore veronese Angelo dall'Oca Bianca, in gita col poeta Berto Barbarani, sembrarono, quelle case, «grilli della montagna».

La fabbrica fu da prima allogata negli Edifizi sul Mulinà, di proprietà del signor Dr. Francesco Giacomelli, come è precisato nel contratto del 15 Marzo 1878, scritto di pugno dallo stesso notaio Giacomelli.

Gli Edifizi, più modesti del nome, sorgevano precisamente in località alle Piazze, a cavallo del torrente.

Giovanni Lozza era stato assunto come «lavorante principale», e con lui Leon Frescura - come firma - il quale avrebbe dovuto poi assumere la bottega di Vicenza. Ma poco dopo il Frescura costituiva addirittura una società: al capitale e agli acquisti della produzione provvedeva il Frescura dalla sua residenza di Padova; alla costruzione dei punzoni, delle macchine, necessarie alla fabbricazione, Giovanni Lozza; alla direzione dei pochi operai Leone Frescura, altro geniale lavoratore, la cui memoria ancor dura.

Vita grama, si capisce. La produzione era limitata, per qualità e quantità (si costruivano occhiali in metallo e metri pieghevoli di legno, con millimetratura di precisione, molto ricercati in quell'epoca) e quindi la fabbrica procedeva a regime di stretta economia: tutta l'accortezza del Lozza era volta a ingegnarsi di studiare e costruire punzoni e macchine che consentissero via via una lavorazione migliore e più economica.

Nel 1882 già i soci avevano deciso la costruzione di una fabbrica più grande, se non che il materiale già predisposto nella località prescelta fu completamente asportato dalla memorabile inondazione di quell'anno.

I figli di Giovanni Lozza conservano ancora una lettera del Frescura che, da Padova, scriveva affettuosamente rincuorando il socio a tener testa alla sventura, e ripromettendosi di riprendere il programma in tempi migliori. Infatti, successivamente, la Ditta acquistò a tale scopo dei vecchi mulini alla Molinà (dove poi crebbe la casa madre); senonchè un'altra e ben più grave sventura doveva abbattersi sulla tenacia degli uomini: nel 1886 moriva a Padova, ancora giovane, il socio Angelo Frescura.

Il crollo, la ruina, ben più paurosa di quella delle acque.

Il Lozza aveva perduto il socio, l'amico.

Nel dicembre del 1882, annunciandogli un affettuoso dono natalizio, il Frescura, lo conforta perchè l'annata non è stata prospera; e nel marzo successivo, in occasione di un grave lutto del socio, gli scrive in termini che sono tanto più caldi in quanto non vengono da un letterato, ma da un uomo che come il Lozza aveva imparato da sè a scrivere, leggere e far di conto, andando in giro per il mondo: il Frescura con una cassetta a spalla, il Lozza con la mola: «Se posso esservi utile in qualcosa - gli dice - scrivetemi che sarò felice di potervi aggradire, in qualunque eventualità troverete in me un secondo fratello, un amico sincero».

Amico e socio, si firma.

Tale gli fu sempre.

Nel 1880 la prima Regina d'Italia, come ricorda Antonio Ronzon nel suo libro, ormai rarissimo, «La Regina Margherita in Cadore» (Ed. Ferdinando Ongania, Venezia, 1882) era stata in Cadore; e in quell'occasione il Sindaco, dopo un fervido indirizzo di omaggio, che sollecitamente ne avvertì lo scrittore; e il Volpe si affrettò a rimediare generosamente all'omissione, scrivendo: «Ho commessa una dimenticanza e vi rimedio oggi, lietissimo che mi si offra occasione di ritornare sopra un argomento, che riesce a lode di brava gente. Nell'articolo che ho pubblicato intorno alla fabbrica di occhiali a Calalzo non ho accennato ad uno dei soci, che con Angelo e con Leone Frescura, può dirsi valido sostegno del pregevole laboratorio. Egli è Giovanni Lozza, il quale da semplice arrotino, per forza di volontà e per squisita intelligenza di meccanico, senza guida e senza maestro, apprese le arti fabbrili ed oggi fornisce lo stabilimento di tutti gli utensili che sono necessari all'esercizio dell'officina, compresi fin anco i punzoni.

«La fabbrica di occhiali di Calalzo, quindi, oltreché una provvidenza per quel paese, ed un esempio per tutti, è anche una riunione di persone che vanno indicate alla ammirazione del paese per ferrea volontà, per acutezza d'ingegno, per laboriosa perseveranza.

«La dimenticanza di una parola di lode pel valente operaio Lozza mi fu accennata dallo stesso Frescura, il quale, volendo ricordato il suo bravo collaboratore, dimostra di avere, colle doti di un intraprendente industriale, anche il sentimento nobile della riconoscenza e del disinteresse. È tanto raro il caso di dover dire il bene, che nel segnalarlo si trova conforto e lietezza».

Gente a gara di lealtà, questi Cadorini.

Morto Angelo Frescura, la fabbrica, nell'interesse degli eredi in minore età, fu ceduta a Colson, Bonomi e Ferrari, chè Giovanni Lozza, mancando dei mezzi necessari, non aveva potuto assumerne direttamente la continuazione.

Giovanni Lozza, col piccolo peculio venutogli dalla liquidazione della società, affittò un po' di terreno in località S. Francesco di Calalzo e vi costruì una piccola officina: è il luogo stesso dove oggi sorge la grande fabbrica che ha incorporato la vecchia officina.

Intanto i figli Giuseppe e Lucio (Giuseppe è nato nel 1870, Lucio nel 1887) già avviati all'arte paterna, venivano successivamente assunti dai successori della Ditta (dalla gerenza Ferrari alla gerenza Cargnel). E nel 1911 decisero di fare da sè. Ampliata l'officina paterna, i fratelli Lozza si dettero a costruire ogni sorta di attrezzi e di macchine necessarie alla lavorazione dell'occhialeria, fornendone la vecchia ditta, alla quale in tal modo continuarono a collaborare.

Venne la guerra, l'officina fu chiusa dapprima e poi distrutta.

Ma nell'autunno del 1918 anche i fratelli Lozza rifacevano la strada d'Allemagna, quella stessa che «risaliva, sconfitto, uno degli eserciti più potenti del mondo».

C'era tutto da rifare... e i fratelli Lozza si dettero al lavoro, con tenacia montanara, cominciando col ricostruire la piccola officina distrutta.

Il primo nucleo della fabbrica odierna era innalzato.

Giovanni Lozza era morto nel 1915 lasciando nome di lavoratore onesto e di meccanico valente. Tra le sue carte furono rinvenute, religiosamente conservate, le lettere che da Padova gli scriveva il socio Angelo Frescura: parole affettuose, da galantuomo a galantuomo, da perito a perito. Era gente, quella, che i conti faceva alla svelta: degli utili, quattro parti giuste: una a ciascuno dei tre soci, una quarta divisa tra gli operai, in tal modo diretti partecipi alla produzione.

Un intelligente anticipo alle attuali provvidenze del Regime, a quella che il Duce ha definito: «una più alta giustizia sociale».

Tal seme non poteva dare che gran frutto.

I fratelli Lozza, convinti sin d'allora che l'iniziativa poteva aver fortuna soltanto con la specializzazione di un articolo nuovo, suscettibile di sviluppo, tale da consentire il concorso delle attività inventive di cui disponevano in uno alla rara abilità meccanica e organizzativa, non stentarono a scegliere la strada.

Lucio era specialmente indicato per assumere la direzione dell'impresa a cui coraggiosamente si accingevano: aveva lasciato le scuole elementari a undici anni e subito il padre lo aveva avviato all'arte propria, ma frequentava le scuole serali, e - quando potè - anche lezioni private (si formò, così, una buona cultura generale). Eccellente era già nella meccanica, nel disegno, nell'ottica; talchè durante la guerra era stato chiamato alla direzione di un reparto di costruzioni ottiche del R. Laboratorio di Precisione. [di Roma N.d.R.]

L'iniziativa, che nel 1920 era costretta in un locale di pochi metri quadrati con l'impiego di sette operai, crebbe, si sviluppò sino all'attuale imponenza. Sono circa 500 operai (una massa di paghe da circa 2 milioni all'anno) che lavorano nella produzione specializzata di montature per occhiali in materie plastiche (celluloide ed affini): la più importante d'Europa e tra le prime del mondo per il genere di produzione considerata senza pari. Dalla fabbrica escono circa cinque mila pezzi al giorno, e metà della produzione è assorbita da mercati esteri.

L'iniziativa dei fratelli Lozza servì, naturalmente, di sprone: un'altra decina di fabbriche, tra piccole e medie, si allineano oggi lungo le vallate cadorine: e vi escono montature varie, lenti, astucci e via dicendo. Almeno mille famiglie vivono dell'industria sorta dal lontano incontro del 1878. Quindi a Giuseppe e Lucio Lozza possono tornare le parole che, anche per il Padre loro, scriveva Riccardo Volpe nel 1880: «La fabbrica di occhiali di Calalzo, oltreché una provvidenza per quel paese ed un esempio per tutti, è anche una riunione di persone che vanno indicate alla ammirazione del paese per ferrea volontà, per acutezza d'ingegno, per laboriosa perseveranza».

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Queste note, ricavate dalla memoria degli eredi di quei nomi - e quindi anche dalla mia - e dai documenti che gli eredi affettuosamente conservano, non hanno pretesa, naturalmente, di costituire la storia dell'occhiale in Italia. Ma per equità - per quanto è dato all'umana natura - si deve ricordare che nella prima officina alla Molinà, l'occhialeria era limitata alla lavorazione delle lenti, alla fabbricazione delle montature cosidette «a giorno» e al montaggio delle lenti, la cui iniziale lavorazione (1896) è da attribuirsi a Enrico Ferrari, succeduto alla Bonomi, Colson e Ferrari, e così delle montature metalliche. La ditta Cattaneo, Cargnel e C. e poi la ditta U. Cargnel e C. (1906) diedero lodevole sviluppo anche alla fabbricazione delle lenti.

Questi sono i nomi maggiori. Quanti, altrettanto valorosi, anche se più umili - e tutti degni dell'elogio di Riccardo Volpe - dovrebbero essere ricordati, ricordando «la provvidenza di quel paese?»

Ma il Cadore non è fiera delle vanità.


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Fabbriche in ltalia, abbiamo detto, allora, non esistevano; all'estero chi mai, per imparare, si sognava d'andarci? Tuttavia l'industria dell'occhialeria italiana, che oggi non soltanto ha conquistato gran parte del consumo italiano, ma largamente, vittoriosamente esporta in tutti i paesi del mondo, viene di li: da quelle prime macchine, da quegli ordegni sui quali vegliava l'insonne pensiero del tenace, silenzioso montanaro. E cosi vengono di li, dalla prima idea delle Piazze, della Molinà, le fabbriche di tutto il Cadore, che oggi dànno pane a tutta la media vallata del Piave, e che, con l'industria del legno, costituiscono una delle forze vive di quell'economia.

E parimenti bisogna concludere nel modo che sempre amano affermare il figlio di Angelo Frescura e i figli di Giovanni Lozza - Giuseppe e Lucio - i quali sono tra di loro fraterni amici come amici erano stati i Padri loro: e cioè che senza l'idea, senza i soldi del Frescura, il Lozza non avrebbe dato mano a costruire ordegni per fare occhiali; ma che dell'idea e dei soldi nulla avrebbe fatto il Frescura se non avesse potuto contare sul Lozza. Parimenti direbbe, se fosse ancora vivo, Leone Frescura. E gli altri di lui.

Questo per quanto riguarda l'origine. Ciò che riflette il poi, conclude, dopo la parentesi 1932-1934, con la ripresa della S.A.F.I.L.O., laggiù alla Molinà (e che Iddio e gli uomini la faccciano prosperare) e con la fabbrica dei fratelli Giuseppe e Lucio, figli di Giovanni Lozza, il primo operaio dell'occhialeria cadorina - primo anche in ordine di tempo, e cioè il pioniere - la quale fabbrica sorse lungo la vecchia gloriosa strada d'Allemagna, tra Calalzo e Pieve. Tronco rigoglioso venuto su dal vecchio ceppo, che accetta e fulmini non poterono inaridire mai.

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Lo stemma di Calalzo reca una ruota; ruota meccanica, non della cieca fortuna.

La Molinà scroscia attorno ai ruderi della fabbrica prima, e sembra rispettarli. Ma ormai il ricordo è perenne: e sarà tramandato di generazione in generazione, secondo la voce che viene dalle opere della tenace laboriosa guerriera gente del Cadore.


ATTILIO FRESCURA



TIPO-LITOGRAFIA TURATI LOMBARDI E C. - MILANO - 1939-XVII 

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Venas di Cadore, 15 novembre 2021


G. Carlo Soravia

 

P.S.

     Per comprendere meglio il contesto storico del presente libretto di Attilio Frescura, ho digitalizzato alcuni capitoli del fondamentale libro di Enrico De Lotto "Dallo smeraldo di Nerone agli occhiali del Cadore", pubblicato nella sua prima edizione nel 1956, Tipografia Silvio Benetta - Belluno

Enrico De Lotto (S.Vito di Cadore, 1911 - Domegge, 1963) Medico e scrittore. Collaborò con giovane archeologo autodidatta Giovanni Battista Frescura (Calalzo, 1921 - Padova, 1993) agli scavi della stazione paleoveneta e romana di Lagole di Calalzo. De Lotto incoraggiò Frescura nella sua attività  di fortunato scavatore. Scrisse per primo sui materiali e sulle iscrizioni di Lagole e ne rivelò, in Italia ed all'estero la loro grande importanza storica, archeologica, epigrafica, linguistica e religiosa. Scrisse libri sulla storia del Cadore e della sua occhialeria.
A Enrico De Lotto è dedicato il Museo della Magnifica Comunità  di Cadore.


CAPITOLO XVIII

La prima fabbrica cadorina di occhiali si sposta dalle "Piazze" al "Molinà"


Abbiamo voluto inquadrare Angelo Frescura tra le persone non oscure del suo parentado per meglio lumeggiarne la figura e l'opera affinché apparisca come essa fu, non frutto del caso o di cieca audacia, ma di volontà paziente e cosciente, di ingegno accorto e lungimirante.

Ritornato in Cadore dunque nel 1877, il Frescura scelse il luogo per la fabbrica in località «Le Piazze» negli «Edifizi» sul Molinà di proprietà di Francesco Giacomelli. Questi «Edifizi» o «opifizi» erano usati un tempo oltre che come mulini, per la fabbricazione dell'olio di noci dai Giacomelli e dai Toffoli. La località prescelta era vicino a Rizzios sulle rive del torrente, dal quale poteva trarre l'energia motrice idraulica per le macchine.

Nel vecchio mulino, adattato alla meglio, con pochi operai, tra i quali il fratello Leone e Giovanni Lozza, iniziò il lavoro di molatura e montaggio lenti di fabbricazione estera su occhiali cerchiati metallici, pure di provenienza estera.

11 15 marzo 1878 Angelo Frescura stipulò il contratto con gli operai Giovanni Lozza ed il fratello Frescura Leone in termini semplici, ma chiari.

Questo contratto è certamente l'atto di nascita delle occhialerie cadorine e lo trascriviamo integralmente, come è stato stilato dal notaio dr. F. Giacomelli:

Essendo venuto il signor Angelo Frescura nella determinazione di istituire una fabbrica di occhiali in Calalzo del Cadore, ed avendo a questo fine già approntato il locale negli edifizi sul Molinà, di proprietà del signor D.n Francesco Giacomelli, si diviene al presente convegno fra il suddetto Angelo Frescura e gli operai.

«Padova 1878

1° Il signor Angelo Frescura assume per lavoranti principali Lozza Giovanni e Frescura Leone assegnando a ciascuno di essi la mercede giornaliera di Lire 2,00.

2° Viene fatta di conseguenza ai medesimi la consegna di tutto il materiale mobile e fisso esistente in detto locale, del quale materiale verrà eretto regolare inventario e stima che sarà successivamente firmato dal proprietario Frescura e dai due lavoranti presenti.

3º In apposito registro eretto in duplo, verrà di volta in volta annotato tanto il nuovo materiale che verrà somministrato dal Frescura ai lavoranti, quanto gli articoli lavorati che i medesimi forniranno al Frescura suddetto.

4° Al compiere di ogni anno verrà fatto il bilancio della fabbrica. Gli utili netti che si sa- ranno ricavati, dedotte le spese tutte inerenti la fabbrica, nonché gli interessi del 6% sulla somma spesa per l'impianto del laboratorio, saranno divisi in parti uguali fra il signor Frescura ed i due lavoranti principali Lozza Giovanni e Frescura Leone.

5º Il presente convegno è obbligatorio per un anno per entrambi le parti passato il quale, dai risultati ottenuti, sarà facoltativo al signor Frescura Angelo o di continuare nelle medesime condizioni o di modificare come meglio a lui piacerà. Il presente convegno viene accettato nella sua integrità da tutti tre gli interessati ed eretto in triplo viene firmato dai medesimi».

A. Frescura

Lozza Giovanni fu Giuseppe

Leon Frescura

Angelo Frescura fu dunque l'ideatore, l'animatore ed il finanziatore della prima fabbrica di occhiali in Cadore. Da uomo esperto e pratico non si accontentò di una stretta di mano per

stipulare il contratto con lo stesso suo fratello Leone e Giovanni Lozza. I patti furono messi per iscritto da un notaio in termini semplici, ma chiari ed altamente significativi ed umani. Fra i tre si costituì una vera società. Angelo Frescura aveva messo il denaro, gli altri due la loro intelligenza ed il loro lavoro. Al primo vanno gli interessi del capitale impiegato, ai secondi la mercede giornaliera per il loro lavoro. Il guadagno dell'azienda alla fine d'anno però viene diviso in parti eguali fra i tre, padrone e lavoranti principali.

Al finanziamento, agli acquisti delle materie prime ed alla vendita dei prodotti provvedeva il Frescura dalla sua residenza di Padova: alla costruzione di punzoni e delle macchine necessarie per la fabbrica pensava Giovanni Lozza, mentre Leone Frescura ricopriva l'incarico di condirettore e sorvegliava i pochi operai della azienda. Era questi un giovialone, intelligente ed esperto artista nella sua attività di operaio specializzato nei lavori delicati e di precisione. Nato nel 1846 si trasferì a Vicenza dopo la morte di Angelo (1886) dove avviò, come abbiamo detto, un negozio di ottica, coltelleria ed oggetti di ingegneria. Morì nella primavera del 1914 a Vicenza.

In questa prima fabbrica non vi era niente di grandioso. L'acqua muoveva rudimentalmente i meccanismi, specialmente le mole, ed i primi occhiali in metallo lasciavano piuttosto a desiderare. Nei primi tempi le lenti e le stesse montature venivano importate dalla Francia. Nella fabbrica si eseguiva il lavoro di molatura dei bordi delle lenti ed il montaggio sia con montature complete cerchiate, sia a lenti nude (montature a giorno) per le quali era necessario forare il vetro.

Si fabbricavano anche metri pieghevoli di legno con millimetratura di precisione, molto ricercati a quell’epoca.

La fabbrica procedeva a regime di stretta economia. L'ingegnosità di Leone Frescura e Giovanni Lozza e gli incoraggiamenti di Angelo Frescura, da Padova, contribuirono, nonostante i grandi sacrifici e le delusioni, a mantenere in piedi la piccola industria.

Giovanni Lozza, figlio di un fabbro, nacque a Calalzo il 15 maggio 1840 e fu un prezioso e leale collaboratore dei Frescura sin dalla fondazione della prima fabbrica delle «Piazze», come risulta dal contratto firmato dai due Frescura e da Giovanni Lozza il 15 marzo 1878. Io credo che nella storia delle nostre industrie si trovino pochissimi esempi di profonda amicizia e di reciproca stima come quelli che intercorsero fra i pionieri delle occhialerie cadorine ed i loro diretti discendenti. Il figlio di Angelo Frescura scriveva al figlio di Giovanni Lozza: «... noi siamo amici come lo furono i Padri nostri, anche se noi non siamo legati che dal comune ricordo, dall'orgoglio comune...». Quando furono scritte queste parole erano trascorsi 60 anni dalla fondazione della prima fabbrica!

Giovanni Lozza, dunque, ancor giovanissimo lasciò il paese natio e girò per il Veneto come arrotino ambulante. Fini per stabilirsi a Cavarzere ed in autunno tornava a casa rifacendo la lunga strada a piedi, spingendo innanzi la mola. Poi ad ogni primavera riscendeva a valle. Il giovane aveva grande passione per la la meccanica e trascorreva molte ore nella officina di un fabbro di Cavarzere, ingegnandosi a costruire lavori di rara abilità, specializzandosi nella fabbricazione di armi e nel ferro battuto. Il figlio Lucio, in un viaggio che molto più tardi compì a Cavarzere, ebbe modo di vedere una magnifica balaustra in ferro battuto forgiata da suo padre.

Un giorno Giovanni Lozza si spinse sino a Genova dove lavorò, assieme a tanti altri cadorini, come minatore nella costruenda ferrovia. Molto più tardi il Lozza raccontava con amarezza che, allorquando mostrava qualche arma da lui lavorata, si sentiva dire dagli increduli: - Eh... se foste capace di tanto, non fareste l'arrotino!

Ma venne il giorno in cui si incontrò con l'uomo che doveva capirlo. Doveva naturalmente essere un uomo dello stesso ingegno, che avesse conosciuto gli stessi stenti, uno della montagna, della sua montagna.

Giovanni Lozza aveva 38 anni. Il tirocinio era stato lungo ed aspro, quando si incontrò, come abbiamo visto, con Angelo Frescura, il venditore ambulante di pettini che, fattosi agiato a Padova col commercio degli occhiali, ebbe la felice idea di voler emancipare il suo paese dalla importazione estera di questo prodotto e fondò la prima fabbrica di occhiali.

Giovanni Lozza fu il suo primo schietto collaboratore e socio, colui che, assieme a Leone Frescura, fece funzionare il piccolo laboratorio, superando difficoltà d'ogni genere. Bisogna pensare che questi uomini, in quei tempi, iniziarono da soli l’industria degli occhiali, in una valle sperduta, lontano dai centri industriali e dalle città. Allora non c'era ferrovia, né telefono. Dovettero ingegnarsi a realizzare tutto il necessario per far funzionare le macchine primitive, da loro stessi costruite, e per fabbricare un prodotto tanto delicato come l'occhiale. L'opera di questi uomini è stata veramente ammirevole. Essi furono i veri pionieri, coloro che gettarono il primo seme che germogliò fecondo e provvidenziale per tutto il Cadore. Se l'ottico Angelo Frescura fu la mente direttiva, il Lozza e Leone Frescura furono coloro che seppero interpretare, perfezionare e sviluppare sul terreno pratico la sua volontà e le sue idee.

Tutta l'accortezza del Lozza era compresa a studiare e costruire non solo punzoni ma macchine che consentissero una lavorazione migliore e più economica.

Così passarono i primi tre anni.

Nel 1881 la prima regina d'Italia trascorse alcuni giorni in Cadore. Il 7 settembre 1881 il Sindaco di Pieve, cav. Giuseppe Genova, dopo fervide parole di omaggio lesse un indirizzo alla Regina (dettato dall'avv. Michele Palatini), trascritto sopra una pergamena finemente miniata dalla valente signora bellunese Diotallevi e firmato dai sindaci dei ventidue comuni del Cadore e chiudeva augurando: «possa allettarvi la vista di questi monti, di queste vallate, di questa natura silvestre; possano quest'aure miti e balsamiche essere fonte di bene per Voi e pel figlio Vostro; possa questo soggiorno esserVi caro e far nascere nel Vostro petto il desiderio di rinnovarci quella vivissima gioia che oggi ci infonde la Vostra presenza» e a nome dei soci della fabbrica di occhiali delle «Piazze» sul rio Molinà presentò a Margherita di Savoia un piccolo astuccio contenente un paio di occhiali «fumées», con montatura in oro, finemente ed elegantemente cesellata. Il dono, gradito molto dalla Regina, era accompagnato da questa dedica a stampa: «A - Sua Maestà - l’augusta nostra Regina - che - rallegra di Sua graziosa presenza - il Cadore - questo umile tributo della propria industria - in segno d’ossequio, di fede, di amore - presentano - i soci - Angelo Frescura, Gio. Maria Frescura, Giovanni Lozza - di Calalzo Settembre MDCCCLXXXI».

Gio. Maria Frescura è Leone.

Iacopo Rossi parla di questo episodio nella prima pagina della Gazzetta di Venezia del 10 settembre 1881.

Riccardo Volpe scrisse qualche anno dopo un articolo ed avendo dimenticato di ricordare il Lozza si affrettava a rimediare all'omissione sollecitato dallo stesso Angelo Frescura: «Ho commesso una dimenticanza, scrive il Volpe, e vi rimedio oggi, lietissimo che mi si offra occasione di ritornare sopra un argomento che riesce a lode di brava gente. Nell'articolo che ho pubblicato intorno alla fabbrica di occhiali a Calalzo, non ho accennato ad uno dei soci, che con Angelo e con Leone Frescura, può dirsi valido sostegno del pregevole laboratorio. Egli è Giovanni Lozza, il quale da semplice arrotino, per forza di volontà e per squisita intelligenza di meccanico, senza guida e senza maestro, apprese le arti fabbrili ed oggi fornisce lo stabilimento di tutti gli utensili che sono necessari all'esercizio dell'officina, compresi fin anco i punzoni. La fabbrica di occhiali di Calalzo, quindi, oltre che una provvidenza per quel paese, ed un esempio per tutti, è anche una riunione di persone che vanno indicate alla amministrazione del paese per la ferrea volontà, per acutezza d'ingegno, per laboriosa perseveranza. La dimenticanza di una parola di lode pel valente operaio Lozza mi fu accennata dallo stesso Frescura, il quale, volendo ricordato il suo bravo collaboratore, dimostra di avere, colle doti di un intraprendente industriale, anche il sentimento nobile della riconoscenza e del disinteresse. È tanto raro il caso di dover dire il bene che nel segnalarlo si trova conforto e lietezza».

Nel 1882 i soci avevano deciso la costruzione di una fabbrica più grande alle «Piazze», senonchè il materiale già predisposto nella località prescelta fu completamente distrutto dalla memorabile inondazione di quell'anno.

Il torrente, ingrossato in modo pauroso, uscendo dal vecchio alveo, non solo asportò l'area per la nuova fabbrica, ma strappò nella sua violenta corsa anche il materiale approntato, intaccando le fondamenta della vecchia fabbrica. In una lettera all'amico Giovanni Lozza, Angelo Frescura rincuora affettuosamente il socio a tener testa alla sventura e «speriamo in seguito - scrive il Frescura - non si rinnovi mai più un anno fatale come il corrente. Io faccio voto, con tutti i miei mezzi e forze, affinché i nostri reciproci interessi della fabbrica abbiano a dare un risultato felice».

Nel 1883 moriva Lucia De Zardo, prima moglie di Giovanni Lozza. Avutane notizia il Frescura si affrettava ad inviargli una lettera, datata 13 marzo, che mostra la fraterna benevolenza e solidarietà, anche nel dolore, che intercorreva tra i soci. Nonostante queste disgrazie, il 21 ottobre 1883 Frescura e Lozza acquistavano da Da Col e Tabacchi un molino da grano in località Molinà e, abbandonata l'idea di costruire alle Piazze, lo trasformano a stabilimento. La nuova piccola fabbrica, sorta all'ombra della cinquecentesca chiesa della Madonna del Molinà, sotto il ponte omonimo, è stata così il primo nucleo di quel complesso grandioso, oggi conosciuto in tutto il mondo, che va sotto il nome di SAFILO.

La grande ruota di legno del molino si rimise dunque in movimento per azionare le rudimentali macchine della nuova occhialeria, allora unica in Italia.

L'industria procedeva con ritmo ognor crescente quando, quasi improvvisamente, il 13 luglio 1886 moriva Angelo Frescura, apportando un grave colpo alla vita stessa dello stabilimento. La morte dell'ideatore e del sostenitore causò il crollo della giovane industria, che aveva appena 8 anni di vita.

Giovanni Lozza, mancando dei mezzi necessari, non poté assumere direttamente la gestione per cui la fabbrica, nell'interesse degli eredi di Angelo Frescura (Attilio, Alba e Amos) fu ceduta alla società milanese Colson, Bonomi e Ferrari, dalla moglie contessa Amelia Sotti.

La nuova società fu costituita l'8 gennaio 1887 e la fabbrica fu riaperta con una trentina di operai. Ferrari, che divenne in seguito l’unico padrone della nuova fabbrica, diede un notevole e decisivo impulso all’industria cadorina degli occhiali. Di questo intraprendente industriale, che con i Frescura e il Lozza deve considerarsi uno dei pionieri delle occhialierie italiane, parleremo nel prossimo capitolo.

Intanto Giovanni Lozza, con il piccolo gruzzolo realizzato dalla liquidazione della vecchia ditta costruì in località S. Francesco d'Orsina, vicino ad altra cinquecentesca chiesetta, su terreno cedutogli in affitto dal Comune di Calalzo, una piccola officina meccanica. In quello stesso luogo oggi sorge la grande fabbrica Lozza che ha incorporato il vecchio laboratorio.

Ormai il seme era stato gettato e nelle due località, Molinà e S. Francesco, fiorirono e prosperano quelle due grandiose fabbriche di occhiali, che sono oggi le più importanti d'Europa.

In uno degli stabilimenti esiste un busto che ricorda Giovanni Lozza, mentre a Calalzo la via che porta a Rizzios è intitolata al nome di Angelo Frescura. Questo riordo è stato voluto da Lucio Lozza, figlio di Gioovanni, che, memore della solida amicizia di suo padre verso il Frescura, nella sua qualità di amministratore comunale, dettò la seguente delibera: «Nel 1877, considerando possibile e doverosa l'emancipazione dall'estero per certi articoli di occhialeria, Angelo Frescura pensò di iniziare il primo laboratorio per la fabbricazione di occhiali nel suo modesto paese natale, dove trovò socio e collaboratore quel Lozza Giovanni che pur tanto seme fecondo lasciò della sua opera. Ebbe così inizio, qui in Calalzo, nel 1877, la industria dell'occhialeria, prima, in quel tempo, in Italia; industria che da modestissime origini, ha assunto lo sviluppo odierno, creando il benessere della regione, dando il pane a diverse centinaia di operai con sette fra industrie e laboratori del genere, ed affermandosi saldamente sul mercato mondiale.

Si ritiene pertanto doveroso riaccendere la fiaccola del ricordo e della riconoscenza al pioniere dell'industria e di fissare un segno che ricordi ai presenti ed ai posteri i meriti del loro illustre e modesto cittadino.

Con tale intendimento, sicuro di interpretare pienamente la volontà dei cittadini tutti: delibera di intitolare ad Angelo Frescura il tratto di via che partendo dalla Piazza Principale ecc. ecc. La scelta di questa, fra le vie principali del paese, ha volutamente un doppio significato: quello di condurre verso la borgata nativa del Frescura (Rizzios) e quello di portare alla località dove, sul torrente Molinà, sorse la prima fabbrica. (4-2-1933)».

Oggi gli stabilimenti sono ancora aumentati ed i vecchi si sono ingranditi e perfezionati. Di fronte a questo complesso congegno di meccanismi, di opere intente è doveroso non dimenticare il suo atto di nascita: quel patto lontano del 1878, quella piccola officina ruvida sullo schiumare del Molinà, quando soltanto la tenacia e la speranza potevano confortare i pionieri. 

 

 

CAPITOLO XIX

L'opera di Carlo Enrico Ferrari


Nei numerosi articoli e nelle pubblicazioni recenti relative allo sviluppo delle occhialerie cadorine, il nome di Carlo Enrico Ferrari non è mai stato posto nella sua giusta luce. Noi dobbiamo sicuramente al Ferrari il merito di avere coltivato il seme dei pionieri e sviluppato con concetti veramente geniali e moderni la giovane industria degli occhiali. A lui, che se non proprio il fondatore, ne fu veramente l'animatore e l'intraprendente organizzatore dedicandole, per il periodo di undici anni, tutta la sua capacità, senza risparmio di energie, di mezzi e di sacrifici.

Nato a Modena il 13-1-1854 da Paolo Ferrari (l'illustre commediografo, cui è intestata una piazza nel centro di Milano), aveva prescelto la carriera militare e poco più che trentenne lo troviamo brillante ufficiale di artiglieria nello Stato Maggiore, presso il Comando di Milano, con il grado di capitano. Alcuni amici, che avevano un negozio di articoli di ottica a Milano, lo convinsero a lasciare il servizio attivo per dedicarsi all'industria degli occhiali. Rilevò con loro la piccola fabbrica di occhialeria del Molinà, acquistata a buone condizioni. Pertanto si costitui la società Bonomi, Colson e Ferrari e nel 1888 il Ferrari stesso ne assunse la direzione, trasferendosi a Calalzo con tutta la famiglia. La figlia ricorda quei tempi: «Vi arrivammo l'11 di settembre. Sembrava di essere in capo al mondo. Nessuna comodità moderna dai servizi domestici a quelli urbani. Niente illuminazione stradale; niente medico, niente farmacia. Nessun servizio di comunicazione con il resto del mondo, se si fa eccezione per una sgangherata corriera tirata da tre rozze (tipo Far West dei films americani!) che passava due volte al giorno sul ponte della Molinà. Per il trasporto di posta e per gli approvvigionamenti e persino per il telegrafo si doveva senz'altro ricorrere a Pieve.

Riportiamo questo particolare per inquadrare l'ambiente nel quale il Ferrari iniziò il suo lavoro, con quel coraggio, quell'entusiasmo, quella serena dedizione, quella tenacia, quello spirito organizzativo e geniale che furono sempre le principali caratteristiche della sua personalità. Ma gli inizi sono difficili: dopo circa due anni, e precisamente il 1° ottobre 1890, la società Bonomi, Colson e Ferrari si sciolse. I due soci rimasti a Milano trovarono che l'impresa non era abbastanza redditizia e decisero di abbandonarla. Ferrari vi aveva già impiegato tutto il suo patrimonio e tutto il suo lavoro e sostenuto da una viva fede verso il realizzo delle sue speranze, decise di continuare da solo.

I primi anni che seguirono furono assai duri: tuttavia egli riuscì a stabilirsi abbastanza bene. Procedette ad un primo ampliamento dello stabile, provvide a sostituire con una turbina idraulica tipo «Girard» la esistente ruota di mulino per la generazione della forza motrice che azionava tutto il macchinario, eresse una palazzina per la sede amministrativa, iniziò nuovi sistemi di fabbricazione di fusti e montature per gli occhiali con macchine di lui inventate e saldature a fuoco in un forno appositamente costruito.

Provvide lo stabilimento di illuminazione elettrica, mediante impianto di una dinamo del Tecnomasio di Milano. Tale impianto fu il primo in tutto il Cadore e forse nella intera provincia di Belluno. Stabilì un reparto per la fabbricazione di astucci per gli occhiali e di scatole per la spedizione della merce.

Tali innovazioni però esigevano un impiego di capitale superiore alle sue disponibilità e si costituì frattanto la società in accomandita semplice «C. E. Ferrari & C.», con Ferrari direttore generale e Ignazio Landoni direttore tecnico.

L'energia elettrica venne inoltre da lui impiegata anche per un impianto di galvanoplastica per la doratura, argentatura e nichelatura dei fusti degli occhiali. Anche la parte pubblicitaria fu da lui curata. All'Esposizione di Palermo, cui egli partecipò nel 1891, gli fu conferita la medaglia d'argento.

Le sue benemerenze nel campo industriale vennero ufficialmente riconosciute con la nomina a Cavaliere della Corona d'Italia (non esisteva allora il cavalierato del lavoro) (vedi «L'Alpigiano» del 1°-5- 1893). In questo periodo lavoravano 50 operai della zona.

Il Ferrari ha il grande merito di essere stato il primo in Italia a fabbricare montature di ferro cerchiate con saldatura di sua speciale invenzione, coadiuvato dai fratelli Lozza, Giuseppe e Lucio, che seppero costruire le macchine necessarie. I rapporti del Ferrari con i Lozza, desideriamo segnalarlo, furono sempre cordiali ed improntati ad un senso di reciproca stima.

Nel 1896 la fabbrica del Molinà era veramente fiorente e prometteva bene. Il Ronzon, nel suo «Indicatore cadorino»> (1896), sotto la rubrica «Industria e Commercio» del paese di Calalzo, scrive: «... la fabbrica Ferrari ricevette un tale incremento da essere elevata al grado di unica del genere in Italia e di rivale in qualche cosa anche delle officine estere, diventando così una specialità italiana ciò che era un monopolio di Francia e di Germania. Meno la materia prima, cioè i vetri greggi, che si ritirano dall'estero, qui si fa tutto: molatura, bucatura, montatura metallica di varia specie e nome, dalla più grossolana, ai fusti finissimi e asticine in acciaio, in argento, in oro, lavorazione delle lenti dalle più scadenti fino alle lenti in cristallo di rocca, con gradazione di tutte le viste, fabbricazione della montatura metallica, delle viti e perfino delle scatole ad angoli metallici per la spedizione della merce.

E la merce si spedisce a più pacchi, ciascun di 20 dozzine di occhiali e a più cassette ferroviarie e tali e tante da raggiungere un centinaio e mezzo in un mese, per un valore di merce di circa L. 15.000 mensili. I pacchi si spediscono in Oriente, in Africa e nella stessa Francia. V'è un deposito di vetro greggio, un deposito di metallo per i fusti, un laboratorio meccanico, dove i bravi operai LOZZA fabbricano persino nuove macchine occorrenti all'uopo, p. e. una macchina per la fabbricazione dei fusti con saldatura di speciale invenzione Ferrari. Vi troviamo pure un 70 operai, uomini e donne di Calalzo, Rizzios, Grea, Vallesella che sarebbero costretti ad emigrare. E il lavoro è fatto con ordine, con disciplina, con meravigliosa divi- sione...».

Da questa descrizione si comprende il progresso compiuto dal Ferrari, soprattutto nella fabbricazione delle lenti, che da quasi un secolo non si fabbricavano più in Italia. Ma proprio quando, portate a termine le più importanti innovazioni, poteva pensare di raccogliere i frutti della sua fatica e della sua coraggiosa iniziativa, un terribile incendio scoppiò nella notte tra il 31 marzo ed il 1° aprile 1896, distruggendo totalmente lo stabilimento e riducendo ad ammassi informi tutte le merci pronte che esso conteneva, tutto il materiale e gli impianti interni. Mai si seppe la causa di questo incendio. Forse un corto circuito dell'impianto di illuminazione, allora primitivo.

Per Ferrari fu un colpo grave! Per la prima volta lo si vide a terra... Ma sua moglie, donna eletta ed intelligente, che da qualche tempo lo coadiuvava nella amministrazione della ditta, specialmente per la corrispondenza con l'estero, tanto seppe stargli vicina, rincuorandolo ed esortandolo a non abbandonare sul lastrico i suoi operai, i quali molto gli erano affezionati, che egli con nuove energie si rimise al lavoro.

Furono erette baracche di legno con provvisori impianti di lavorazione, mentre si provvedeva alla riedificazione dello stabile, raddoppiandone la mole tanto in estensione come in altezza. Per l'inverno lo stabilimento ricominciò a funzionare con ritmo normale e subito dopo vennero introdotte nuove lavorazioni, meglio rispondenti alle esigenze della produzione. Fra esse, molto importante l'impianto della fabbricazione delle lenti per occhiali, che fino ad allora erano importate dal Giura francese. Rilevato l'intero macchinario di una fabbrica francese, lo aveva messo in funzione nel suo stabilimento ed esso rispose perfettamente allo scopo. Successivamente impiantò anche il macchinario per la fabbricazione delle viti per la montatura degli occhiali.

Per il perfezionamento della fabbricazione dei fusti per occhiali fu intelligentemente coadiuvato dai fratelli Lozza, Giuseppe e Lucio, figli di Giovanni, addetti alla lavorazione delle piastre di acciaio per le trance.

Il Sen. Ing. A. Salmoiraghi, fondatore della «Filotecnica» e inventore del periscopio, che fu tra i maggiori finanziatori della società e membro del Consiglio di Vigilanza, scriveva del Ferrari: «Unico gerente della società, fu anche l'anima tecnica; fu lui invero che impiantò lo stabilimento in Cadore installandovi turbina e macchine elettriche, che studiò e sorvegliò l'impianto e l'installazione della trasmissione e macchine; fu lui che ideò e fece costruire nello stabilimento stesso un corredo di attrezzi ed utensili ingegnosissimi per la fabbricazione economica delle montature delle lenti e che in ultimo si occupò con successo della installazione delle macchine lavoratrici delle lenti».

Valendomi degli appunti che troviamo nella rivista francese «L'Encyclopedie Contemporaine Illustrée» di Parigi del 20 ottobre 1898, posso dare notizie più interessanti sulle origini e sulla

produzione in questa industria. Quanto scritto dall'articolista J. de Fourcand deve essere apprezzato e tenuto in maggiore considerazione in quanto si tratta di uno straniero, anzi di un cittadino di una nazione che era in quei tempi il centro più importante d'Europa della produzione degli occhiali: «Nel Comune di Calalzo (Cadore) furono edificati tre nuovi corpi di fabbrica, uno adibito agli uffici di direzione ed amministrazione, uno per i laboratori di galvanoplastica ed il terzo per i magazzini del combustibile ed i materiali. Lo stabilimento è posto sulle rive del torrente Molinà le cui acque ne alimentano la forza motrice occorrente. Poco discosto da questi si eresse un quarto fabbricato che è come una specie di officina meccanica nella quale, mediante apposito e perfezionato macchinario, si costruiscono tutti gli attrezzi, gli utensili e le macchine necessarie all'industria, come i trasportatori, i laminatoi, le molle. In tutti i diversi corpi di fabbrica, dove le varie energie sono sapientemente utilizzate per i locali ben disposti, arieggiati e soleggiati, si notano subito con senso di ammirazione l'ordine, la pulizia più perfetta, caratteristi- ca questa che è proprio dei veri e grandi industriali. L'Italia e la Francia forniscono alla Casa gli acciai, i ferri, packfong, alpacca, delta, oro, argento, i cristalli di Pisa e quelli della società milanese Lucchini; i vetri di Saint-Gobain, il carborundum, da poco scoperto e la cui durezza e finezza sono già tanto apprezzate; in una parola tutti i materiali occorrenti alla fabbricazione difficile e complicata degli occhiali, dei pince-nez, delle lenti convesse ecc. Le macchine che si ammirano in azione cesellano, aguzzano, tagliano, puliscono ed adattano, volta a volta, ciascun oggetto per opera di 120 operai che si perfezionarono senza tregua e acquistarono una abilità tale da poter eseguire giornalmente 120 dozzine di esemplari di ciascun tipo degli articoli speciali creati dalla Casa. Data la ristrettezza del tempo questo risultato sembra davvero meraviglioso tanto più se si considera le cure minuziose che esige la lavorazione di questi articoli, ed è ciò appunto che fa molto onore al cav. Ferrari perché tutto si deve alla sua attività, alla sua intelligenza».

Ben presto i prodotti della Ditta Ferrari salirono in grande rinomanza e ad esso si rivolsero subito tutte le grandi case della penisola, poi quelle dell'estero, di Amburgo, di Parigi, di Egitto, di Costantinopoli, della Repubblica Argentina, del Brasile e della Grecia.

Il crescendo delle ordinazioni fu rapido e meraviglioso, come apprezzata e stimata fu dovunque la produzione perfetta ed inappuntabile sotto ogni rapporto. Gli attestati di benemerenza acquisiti da una Casa possono pesare qualche cosa sulla bilancia del successo industriale: dal Ministero dell'Agricoltura, Industria e Commercio, nel 1893, come abbiam detto, fu insignito della Croce di Cavaliere della Corona d'Italia, medaglia d'argento all'Esposizione di Palermo nel 1892, medaglia d'oro della Camera di Commercio di Belluno nel 1896, medaglia d'oro al Concorso Industriale del 1897 dal Regio Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti; medaglia d'oro all'Esposizione generale di Torino. Nell'ottobre 1898, al Concorso Ministeriale la Casa C. E. Ferrari & C. riportava la medaglia d'argento di primo grado, che costituiva la più alta ricompensa nella categoria in cui la Casa era iscritta. L'opera di Ferrari è veramente degna di rilievo perchéll egli seppe creare in Italia un'industria nuova, in una località affatto industriale, dove l'educazione della mano d'opera, fra le altre cose, deve essere stata assai difficile. Egli portò la giovane azienda ad un così altro grado di potenzialità e di successo da meritare plauso, apprezzamento e riconoscenza.

Sotto la guida di Ferrari si formarono i principali capi industria che dettero vita ad altre occhialerie e fabbriche di accessori, come Giuseppe e Lucio Lozza, Ulisse Cargnel, Calisto Fedon, Giorgio Fedon, dei quali parleremo in seguito.

Purtroppo gli azionisti milanesi, non rendendosi conto della necessità delle spese incontrate, inevitabili per dare un giusto impulso all'azienda, che solo così in un secondo tempo avrebbe fruttato il reddito desiderato, arrivarono persino a volergli imporre il controllo di un amministratore. Di fronte a tale umiliante incomprensione il Ferrari preferì abbandonare l'impresa nella quale aveva gettato tutto il patrimonio, non solo di mezzi finanziari, ma di lavoro indefesso, di sacrifici, di cognizioni, di esperienze che servirono poi da trampolino ad altri per raggiungere le mete che egli si era prefisse. Richiamato in servizio militare, dietro sua domanda, ebbe a Milano il comando interinale di un reggimento di artiglieria a cavallo e durante quel periodo ebbe l'onore di arruolare in tale reggimento il figlio del Duca d'Aosta Amedeo di Savoia, che morì durante l'ultima guerra. Nominato poi Comandante della difesa aerea di Milano e della Lombardia e promosso Colonello durante la guerra 1915-18 lasciò il servizio a guerra finita col grado di Brigadiere Generale, concessogli per benemerenze speciali. Morì il 4 agosto 1932 ed il Cadore, che tanto deve a questo pioniere delle occhialerie, ha voluto trarre il suo nome dall'oblio.



CAPITOLO XX

L'occhialeria del Molinà di Ulisse Cargnel, succeduto al Ferrari, è l’unica in Italia - Notevole sviluppo dal 1900 alla prima guerra mondiale


Ulisse Cargnel, con lo scioglimento della società C. E. Ferrari & C., venne nominato, assieme a Cattaneo Gio. Batta di Milano, procuratore del liquidatore e si è costituita, il 23-1-1901, la società Cattaneo, Cargnel & C.

Nato a Pieve di Cadore il 15-5-1873 da Cargnel Giovanni Maria e da Poletti Giulia, si impiegò giovanissimo nel Municipio di Pieve dal 1884 al 1888 e con la ditta Bazzole, che gestiva le esattorie del Comelico, dal 1889 a 1891. Il 24 gennaio 1892 venne assunto dalla ditta C. E. Ferrari che, come abbiamo visto, aveva avviato la piccola fabbrica di occhiali alla Molinà di Calalzo. Come impiegato di questa ditta il Cargnel seguì le vicende della fabbrica Ferrari. Con la morte del Cattaneo venne costituita nel 1905 la Società Ulisse Cargnel & C. Il Cargnel allo scopo di sviluppare l'industria ed emancipare la nazione dalla importazione estera delle lenti, continuando l'iniziativa veramente coraggiosa del suo predecessore Ferrari, intraprese de viaggi all'estero prima in Francia e poi in Germania per studiare i nuovi metodi di lavorazione. Nel marzo 1905 Cargnel con Arturo Fanton, come interprete, e Noelte (tecnico tedesco), fingendosi giornalisti visitarono le principali fabbriche di lenti tedesche a Mona co, Norimberga, Furth e Pforzheim. Nel tentativo di entrare clandestinamente nella fabbrica Schweizer di Furth, vennero fermati per qualche ora, ma poi rilasciati riuscendo per a carpire il segreto del procedimento per fissare la lente al blocco mediante uno speciale collante (chiamato, in gergo, castagna). Subito dopo il Cargnel, con il rag. Francesco Arfini di Viadana, si recò in Francia (a Ligny) per visitare fabbriche di ogni tipo.

Osservò il funzionamento dei macchinari per la lavorazione delle lenti, assunse preziose informazioni tecniche e riuscì a procurarsi campioni di materie prime come quella speciale composizione tanto necessaria per incollare le lenti sulle forme.

Il Ferrari aveva iniziato, primo in Italia, la fabbricazione delle montature di ferro cerchiate sin dal 1896 e si era occupato, come scrive l'ing. Salmoiraghi, della installazione delle macchine lavoratrici delle lenti, rilevando l'intero macchinario di una fabbrica francese. Le prime lenti fabbricate dal Ferrari, con l'aiuto di tecnici francesi, erano del tipo Koilos (piano convesse).

Cargnel continuò e sviluppò l'iniziativa del Ferrari e, nel 1906, fece costruire due nuovi edifici accanto alla vecchia fabbrica Ferrari (progetto dell'ing. Carlo Canella di Padova).

In quel periodo erano occupati circa 200 operai e si producevano, giornalmente, 4.000 lenti e 2.000 paia di occhiali che venivano, in gran parte, esportati nell'America del Sud. Iniziò la fabbricazione di lenti per occhiali di tutte le qualità (menischi, cilindriche, sfero cilindriche, prismatiche, toriche e bifocali).

L'energia elettrica veniva prodotta da quella centrale autonoma costruita dal Ferrari, alimentata da un canale in legno che convogliava l'acqua del Molinà.

Molto più tardi, nel 1920, fu costruito dallo stesso Cargnel il nuovo canale in muratura con sfioratore dell'occhialeria che servì a far funzionare una nuova turbina, più moderna e più potente. La forza prodotta in quel periodo era di 100 cavalli. Il 19-11-1905 Cargnel venne nominato Cavaliere del Lavoro (n. 210) perché, unico in Italia, ebbe il merito di produrre montature di metallo «a giorno» e cerchiate e principalmente tutti i tipi di lenti. Nel 1907 l'allora Ministro dell'Agricoltura, Industria e Commercio, S. Ecc. Rava, visitò gli stabilimenti della ditta Cargnel e questo fu un riconoscimento dell'importanza assunta dal suo complesso industriale. Nel 1910, come abbiamo accennato nella storia della celluloide, Cargnel iniziò la costruzione delle prime montature di celluloide, la cui lavorazione gli fu prospettata da un certo Larese di Auronzo, durante un soggiorno a Napoli. Giuseppe Lozza, capo meccanico, costruì, assieme al fratello Lucio, le prime apparecchiature meccaniche per la confezione delle montature per occhiali in celluloide. Venne costituito così il primo reparto per la lavorazione di questo tipo di occhiali, con a capo Fedon Calisto.

Nel 1917 l'industria venne devastata dall'occupazione austriaca. Invitato dal Ministero per l'Industria, Commercio e Lavoro si trasferì a Milano, dove eseguì un impianto per la fabbricazione di lenti ed occhiali di protezione per le truppe italiane combattenti.

Nel dicembre 1917 il Cargnel aveva ricevuto la seguente lettera dallo stesso Ministero:


«Al Sig. Ulisse Cargnel

Cavaliere del Lavoro

Foro Bonaparte, 61

MILANO


A questo Ministero è noto che la ditta U. Cargnel & C. ottimamente fabbricava lenti da occhiali a Pieve di Cadore. Abbandonato l'impianto in seguito agli ultimi avvenimenti (invasione austriaca), il nostro Paese rimane privo, per ora, dell'unico stabilimento che producesse dette lenti, perciò questo Ministero vedrebbe con compiacimento che la S. V. si occupasse per far risorgere l'industria in qualche località adatta, salvo poi a riattivare il vecchio opificio a tempo opportuno.

Confido che la S. V. saprà trovare il modo di provvedere alle nuove esigenze e le sarò grato se in seguito me ne vorrà dare comunicazione.

p. IL MINISTRO

f.to F. Morpurgo»


Cargnel installò, con grandi sacrifici finanziari, l'impianto provvisorio di Milano dove lavoravano numerosi operai cadorini, tra i quali Giuseppe Lozza, Giorgio e Berto Fedon. Durante questo periodo fu saggiamente illuminato a perfezionare la produzione delle lenti da Lucio Lozza che in quel periodo si trovava presso la Direzione del Reparto di costruzioni ottiche del R. Laboratorio di precisione in Roma. È interessante la corrispondenza intercorsa tra Cargnel e Lucio Lozza, che preparò in quel tempo numerosi progetti di macchine per la lavorazione delle lenti.

Finita la guerra 1915-18, Ulisse Cargnel trasferì tutti i macchinari della fabbrica di Milano nella vecchia sede del Molinà di Calalzo, ripristinando l'industria e dando particolare impulso alla produzione sia delle lenti sia degli occhiali di celluloide che in quel periodo incominciarono a diffondersi in Italia ed all'estero.

Per apprendere nuovi sistemi di lavorazione delle lenti, nel novembre 1922 Cargnel, accompagnato dall'ing. Carazzolo come consulente tecnico e da Del Favero di Calalzo come interprete, intraprese un viaggio in Germania e visitò Innsbruck, Monaco, Dresda, Berlino, Rathenow, Hannover, Freden e Francoforte. Sono interessanti gli appunti e gli schizzi dell'ing. Carazzolo, che ha tenuto un minuzioso diario giornaliero.

L’ing. Giuseppe Carazzolo di Padova era consgliere tecnico di Cargnel sin dal 1904.

Per la sistemazione dei locali devastati dalla guerra ed il ripristino dell'industria, il Cargnel fu costretto a ricorrere per il finanziamento alle banche per affrontare le ingenti spese, nella certezza di una giusta liquidazione dei danni di guerra da parte del Governo. Purtroppo la liquidazione fu talmente inferiore al previsto che il 12-9-1932, dopo anni di crisi, fu costretto a dichiarare il fallimento con la perdita di tutti i beni mobili ed immobili di proprietà privata già ipotecati nello sforzo estremo ma inutile di tenere in vita a tutti i costi la sua industria, che dirigeva da oltre 30 anni e che fu la culla di tante altre industrie sorte negli anni successivi ed oggi fiorenti.

Il Cargnel fece di tutto per non soccombere. La causa del suo insuccesso, dal punto di vista finanziario, va ricercata nella mancata corresponsione dei danni di guerra. Lottò accanitamente per sopravvivere. Scrisse inutilmente un disperato appello all'allora capo del governo B. Mussolini, ma tutto fu inu- tile. Difese poi il suo operato con scritti e polemiche acerbe.

Ulisse Cargnel si deve considerare uno dei pionieri delle industrie cadorine degli occhiali, perché seppe sviluppare l'opera del Ferrari e continuare per quasi 30 anni la fabbricazione non solo delle montature, ma soprattutto delle lenti correttive. Le numerose onorificenze concesse sono una testimonianza delle benemerenze acquisite durante tanti anni di lavoro e di sacrifici. Ricordiamo le principali:

- Cavaliere del Lavoro, 1905;

- Medaglia d'oro, Milano, 1906;

- Medaglia dello Stato, Budapest, 1907;

- Premio del Ministero di A.I.C., 1907;

- Diploma d'onore del R. Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti di Venezia, 1909;

- Grande diploma con medaglia d'oro, Torino, 1923.

Nel 1934, come vedremo, l'azienda fu riattivata da Guglielmo Tabacchi, sotto il nome di SAFILO. Ulisse Cargnel continuò a collaborare con i tre figli presso la nuova occhialeria Fratelli Cargnel di

Ulisse di Pieve, industria di modeste proporzioni. Il 16-7-1948 morì in seguito ad un intervento chirurgico.

L'opera da Lui iniziata venne sviluppata ed ingrandita dai successori non solo al Molinà di Calalzo, ma un po' in tutto il Cadore.

Dalla fabbrica di Ferrari e di Cargnel, infatti, partirono la maggior parte di quei dirigenti e di quelle maestranze espertissime che poi a gruppi si staccarono dall'azienda per impiantare altre aziende similari che oggi esistono in tutto il Cadore, a Torino, a Milano, a Genova.



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